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EUROMETAL: in assenza di un miglioramento macroeconomico e politico, una ripresa del mercato non è attesa prima della metà del 2026

mercoledì, 19 novembre 2025 16:06:51 (GMT+3)   |   Istanbul

SteelOrbis ha intervistato Alexander Julius, presidente di EUROMETAL, sulle principali sfide del settore siderurgico europeo.

Come descriverebbe le attuali tendenze della domanda di acciaio nell’UE nei principali settori (costruzioni, automotive, macchinari, ecc.)?

La domanda di acciaio in Europa rimane debole e disomogenea tra i diversi settori. L’industria delle costruzioni, tradizionalmente il maggior consumatore di acciaio, risente dell’elevato livello dei tassi di interesse, della riduzione degli investimenti pubblici e del rallentamento dei progetti residenziali e infrastrutturali.

Il settore automobilistico, dopo un breve rimbalzo post-pandemico, ha nuovamente rallentato, riflettendo sia la scarsa fiducia dei consumatori sia la complessa transizione verso i veicoli elettrici. Il comparto dei macchinari e dell’ingegneria meccanica si mostra relativamente più resiliente grazie all’export, ma anche in questo caso emergono segnali di esitazione negli investimenti.

Nel complesso, stimiamo che nel 2025 la domanda europea di acciaio resterà al di sotto dei livelli pre-pandemici e che una ripresa sia improbabile prima della metà del 2026, a meno di un miglioramento delle condizioni macroeconomiche e delle politiche industriali.

In che modo i prezzi elevati dell’energia stanno incidendo su produzione, investimenti e competitività?

I costi energetici alti e volatili rappresentano tuttora una delle sfide strutturali più gravi per la filiera siderurgica europea. Sebbene i prezzi si siano ridimensionati rispetto ai picchi del 2022, l’Europa continua a fronteggiare un divario di costo dell’energia pari a due-tre volte rispetto ad Asia e Stati Uniti.

Questo differenziale penalizza i nuovi investimenti, riduce i margini ed erode la competitività lungo tutta la catena del valore, dalla produzione primaria alla distribuzione e trasformazione.

Molti operatori downstream stanno riducendo la produzione o delocalizzando alcune lavorazioni al di fuori dell’Unione europea. Senza una strategia coerente in materia di energia e industria, ciò potrebbe sfociare in una deindustrializzazione di lungo periodo e nella perdita di capacità strategiche.

Prevede ulteriori processi di consolidamento o ristrutturazione nell’industria siderurgica europea?

Sì, un’ulteriore fase di consolidamento e ristrutturazione è molto probabile, non solo tra i produttori, ma in tutta la rete di distribuzione, centri servizio e imprese di trasformazione.

Le aziende cercano sempre più di ottimizzare le dimensioni, ridurre i costi fissi e riallineare i modelli di business per prepararsi alla transizione verde e a un contesto caratterizzato da margini limitati e alta volatilità.

I dati del Financial Benchmark di EUROMETAL per i centri servizio confermano questo trend: i risultati 2024 sono stati nettamente inferiori alle aspettative, con forte pressione su margini, scorte e capitale circolante. Il 2025 si preannuncia ancora più impegnativo, soprattutto per le PMI indipendenti, penalizzate da domanda debole, importazioni a basso costo di prodotti derivati e crescenti oneri normativi (inclusi CBAM e DPP).

Il consolidamento, tuttavia, non deve compromettere diversità del mercato e resilienza dell’offerta. Il settore distributivo europeo è composto soprattutto da piccole e medie imprese, che svolgono un ruolo essenziale nell’equilibrio tra domanda e offerta, soprattutto nei mercati regionali e specializzati.

Preservare una rete distributiva competitiva, flessibile e diversificata è fondamentale per innovazione, servizio al cliente e reattività della supply chain nella transizione verde e digitale.

Quali effetti stanno avendo gli sviluppi geopolitici sulle rotte commerciali?

La frammentazione geopolitica ha profondamente ridisegnato le rotte globali del commercio siderurgico. La guerra in Ucraina, l’instabilità regionale e il mutamento delle alleanze hanno aumentato l’incertezza, i costi di trasporto e le interruzioni nelle catene di approvvigionamento.

Parallelamente, i dazi e le restrizioni commerciali statunitensi hanno spinto verso l’Europa acciaio e derivati inizialmente destinati agli Stati Uniti. Si registra un crescente afflusso di prodotti derivati, componenti fabbricati e semilavorati, che entrano nel mercato europeo al di fuori delle misure di difesa commerciale tradizionali, spesso aggirando CBAM e salvaguardie.

Questo fenomeno aggrava una situazione già critica, in cui la sovraccapacità asiatica continua a sostituire la produzione europea, deprimere i prezzi e mettere a rischio la sostenibilità dell’industria locale.
Assistiamo inoltre a un aumento delle pratiche di elusione, dichiarazioni d’origine false, rilaminazioni in Paesi terzi, riclassificazioni tariffarie, in particolare per i derivati.

Tali sviluppi evidenziano l’urgenza di rafforzare i controlli doganali, armonizzare le regole di origine e implementare sistemi di tracciabilità robusti, soprattutto con l’entrata in vigore del CBAM a gennaio 2026 e con l’imminente Digital Product Passport (DPP).

Senza controlli chiari ed efficaci, l’Europa rischia di diventare il bacino di scarico per acciaio e derivati ad alta intensità emissiva rifiutati da mercati più protetti.

Quali sono le vostre aspettative per domanda e prezzi dell’acciaio nel breve-medio periodo?

Nel breve termine la domanda resterà debole fino all’inverno 2025-26, con un modesto restocking all’inizio del prossimo anno.

I prezzi oscilleranno in un intervallo ristretto, a causa della domanda contenuta, scorte elevate e forte concorrenza dalle importazioni.

Guardando al 2026, una graduale ripresa potrebbe arrivare dagli investimenti in infrastrutture, energie rinnovabili e difesa, a condizione che vi sia accesso ai finanziamenti e una riforma degli appalti pubblici.

Con l’entrata in vigore del CBAM a gennaio 2026, i costi di decarbonizzazione incideranno in modo crescente sui prezzi, rendendo il costo delle emissioni un elemento strutturale del mercato.

È ottimista o prudente riguardo alla competitività del settore siderurgico europeo nel medio periodo?

Manteniamo un cauto ottimismo, a condizione che l’Europa riesca a conciliare obiettivi climatici e competitività industriale.

Le imprese europee dispongono di tecnologia, innovazione e impegno per guidare la transizione globale verso l’acciaio verde. Ma ciò richiede regolamentazione prevedibile, energia a costi sostenibili e condizioni di concorrenza eque. 

Se questi pilastri si allineano, l’Europa può competere su valore, qualità e sostenibilità. In caso contrario, rischiamo un «paradosso green»: minori emissioni ottenute a scapito della produzione industriale e dell’occupazione, trasferite verso regioni con standard più deboli.

Come valuta il recente annuncio dell’Unione europea sulla politica di salvaguardia?

La proposta post-salvaguardia della Commissione Europea (COM(2025)726), presentata a inizio ottobre, conferma che la difesa commerciale resta una priorità, ma solleva preoccupazioni per il settore downstream.

Le salvaguardie miravano a stabilizzare il mercato, mentre il nuovo quadro rischia di aumentare la pressione su distributori, centri servizio e PMI manifatturiere, già colpiti da domanda debole e forte concorrenza import.

Criticamente, i prodotti derivati dell’acciaio restano esclusi dalle misure attuali, pur avendo un ruolo crescente nel compromettere la competitività europea.
Questi prodotti, dai tubi assemblati ai componenti fabbricati, entrano nell’UE senza controlli adeguati, spesso contenendo acciaio oggetto di dumping o ad alte emissioni, non soggetto né a salvaguardie né al CBAM.

È essenziale affrontare questo gap normativo per evitare un ulteriore indebolimento della base manifatturiera europea.

Queste misure commerciali garantiscono condizioni eque o distorcono il mercato?

Le misure commerciali sono necessarie per tutelare la concorrenza leale, ma devono essere progettate con equilibrio.

L’attuale quadro tutela spesso la produzione primaria, mentre espone gli utilizzatori downstream a vincoli di approvvigionamento e volatilità dei prezzi.

Per assicurare condizioni di concorrenza realmente eque, è necessario un approccio equilibrato, che contrasti le pratiche sleali senza penalizzare gli utilizzatori industriali legittimi.

EUROMETAL sostiene l’introduzione di quote Paese-specifiche e delle regole Melt & Pour per chiudere le attuali falle e garantire che ogni tonnellata di acciaio immessa sul mercato UE rispetti gli stessi standard ambientali e sociali.

Tuttavia, se i derivati importati non verranno inclusi in queste misure con la stessa intensità, l’effetto sarà immediatamente negativo per il downstream europeo e accelererà la deindustrializzazione, lasciando i produttori UE senza clienti.

Quali sono le principali criticità del CBAM e quali effetti prevedete sui flussi commerciali?

La piena attuazione del CBAM a gennaio 2026 sarà un punto di svolta per il commercio globale dell’acciaio, e in particolare per i distributori europei.

Il concetto alla base è corretto, ma l’esecuzione è complessa: gli importatori devono raccogliere dati emissivi verificati, gestire sistemi di reporting multipli, affrontare valori di default mancanti, tempistiche ristrette per l’acquisto dei certificati e l’allineamento con le procedure doganali.

Questa asimmetria informativa e temporale rappresenta un rischio operativo e finanziario significativo, soprattutto per PMI e centri servizio.

Parallelamente, molti derivati e prodotti trasformati restano fuori dall’attuale perimetro del CBAM, creando un incentivo a spostare le attività più emissive nei segmenti downstream, con potenziali fenomeni di elusione tramite beni assemblati o fabbricati.
Affinché il CBAM abbia successo, deve diventare un sistema completo, trasparente, applicabile e integrato con le procedure doganali, esteso all’intera filiera dell’acciaio, inclusi i prodotti a valle e quelli contenenti acciaio.

In assenza di ciò, rischia di distorcere i flussi commerciali, penalizzare gli operatori conformi e non raggiungere gli obiettivi climatici.

I meccanismi di finanziamento attuali sono sufficienti a sostenere la transizione green dell’acciaio europeo?

Gli strumenti attuali, Innovation Fund, proventi ETS, piani nazionali di ripresa, sono essenziali, ma troppo frammentati e poco accessibili.

La maggior parte del supporto è rivolta ai produttori primari, mentre distributori, trasformatori e fabbricatori, il cosiddetto “middle missing” della filiera, restano sostanzialmente esclusi.

Una transizione sostenibile richiede investimenti in ogni fase della catena del valore: logistica, magazzini, digitalizzazione e infrastrutture di certificazione sono elementi fondamentali per un mercato dell’acciaio green, non solo per la produzione primaria.

Come vede l’equilibrio tra obiettivi ambientali e competitività globale?

Questo equilibrio rappresenta la sfida cruciale della politica industriale europea.

Il settore siderurgico è pienamente impegnato nella neutralità climatica, ma l’ambizione deve essere accompagnata da pragmatismo e coordinamento globale.

Se la regolamentazione ambientale procede più velocemente del sostegno agli investimenti e delle misure commerciali, l’Europa rischia una “fuga del carbonio mascherata”, con attività emissive spostate all’estero.

La strada corretta consiste nell’allineare obiettivi ambientali e strumenti di competitività: rafforzare l’applicazione del CBAM, adottare misure commerciali equilibrate e garantire fondi per l’intera supply chain. Solo così l’Europa potrà guidare la transizione verso l’acciaio verde senza compromettere la propria base industriale.


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