Assofermet, presentato studio sugli effetti negativi delle barriere commerciali

giovedì, 03 marzo 2022 10:43:54 (GMT+3)   |   Brescia
       

Le barriere commerciali su acciaio e alluminio hanno avuto effetti negativi non solo sugli utilizzatori finali ma anche sull'economia delle regioni che vi hanno fatto ricorso, vale a dire Ue e Stati Uniti. È questa la conclusione di uno studio commissionato da Assofermet e realizzato dall'Università Bocconi, intitolato "The Macroeconomic Effects of Temporary Trade Barriers in the European Union" e presentato ieri presso la Sala Colucci di Unione Confcommercio a Milano. Presenti la vicepresidente di Assofermet, Cinzia Vezzosi, il presidente del sindacato Acciai Paolo Sangoi, l'avvocato Massimo Campa, che ha collaborato nella fase di decollo dello studio, e Stefano Riela, docente di politica economica europea in Università Bocconi.

 

La conferenza è stata aperta da Cinzia Vezzosi, che dopo aver ringraziato i presenti per la partecipazione ha subito sottolineato la situazione di forte preoccupazione causata dalla drammatica crisi Russia-Ucraina.

Ha quindi preso la parola Paolo Sangoi, il quale ha affermato che «qualsivoglia misura protezionistica ha sempre un doppio risvolto. A quello positivo che in qualche maniera sostiene i produttori, si contrappone quello del mercato a valle composto dai consumatori finali che sono costretti a subire disservizi dovuti al disassortimento delle merci e al livello spesso elevato dei prezzi. Al di là di questo, è ingiusta e dannosa una misura che colpisce l'acciaio e l'alluminio sotto forma di prodotti finiti, mentre ciò che sta a monte e ciò che sta a valle viene trattato in modo diverso. Produttori di acciaio e costruttori finali vengono posti su diversi livelli e trattati diversamente, con i secondi che sono penalizzati quando si trovano a confrontarsi con i competitor di paesi esteri non regolamentati dalle stesse norme». Il presidente di Assofermet Acciai ha ricordato che la salvaguardia europea sull'acciaio è entrata in vigore nel 2018 ed è stata confermata per un ulteriore triennio a luglio 2021. Assofermet si è sempre detta contraria a tali misure, ma oggi più che mai, considerate le gravissime ripercussioni economiche che avrà il conflitto in Ucraina, l'associazione punta a far sentire la propria voce in Commissione europea. «Volendo limitare l'analisi al nostro settore – ha detto Sangoi – in assenza di interventi immediati da parte della Commissione volti ad alleggerire le restrizioni o a sospenderle temporaneamente, l'impatto sul mercato sarà violento e favorirà una situazione di shortage e incrementi incontrollati dei prezzi». Il presidente del sindacato Acciai di Assofermet ha auspicato che i risultati dello studio realizzato insieme all'Università Bocconi «spinga i legislatori europei a riscrivere le norme del libero commercio considerando le esigenze non solo dei produttori ma anche del mercato a valle».

 

È intervenuto anche l'avvocato Massimo Campa, convenendo che ci troviamo in un momento particolare della storia in cui è assolutamente corretto e doveroso far sentire la propria voce presso le istituzioni.

Stefano Riela ha illustrato lo studio premettendo che il suo obiettivo è stato quello di fornire una stima degli effetti delle barriere commerciali temporanee sul prodotto interno lordo (Pil) e sull'inflazione nell'Unione europea. L'attenzione si è concentrata sugli effetti dei dazi antidumping su prodotti di ferro, acciaio e alluminio. In particolare, la ricerca ha evidenziato che la rimozione delle misure protezionistiche nel mercato europeo aumenterebbe il Pil reale dello 0,4% e ridurrebbe l’inflazione dello 0,25% in un anno, per un aumento ipotetico del potere di acquisto delle famiglie italiane dell'ordine di 470 euro per famiglia, al netto degli effetti del drammatico conflitto appena esploso. Questi risultati dimostrano che l'aumento dei prezzi all'importazione determina una maggiore inflazione interna; che le tariffe inducono la spesa a spostarsi verso i beni nazionali e verso produttori nazionali meno efficienti, riducendo la produttività complessiva; che l'aumento dei prezzi interni riduce il reddito reale; che la domanda di beni nazionali in realtà diminuisce; che la minore domanda aggregata provoca un calo dell'attività economica reale; che il calo degli investimenti e della produttività propaga nel tempo gli effetti negativi dell'aumento delle tariffe. In conclusione, le misure protezionistiche che prendono di mira gli input intermedi si traducono in prezzi più elevati pagati dalle industrie a valle, portando a una contrazione dell'attività economica. Pertanto, un uso prolungato di tariffe e/o una loro più ampia applicazione comporterebbe effetti aggregati negativi considerevoli e duraturi, rallentando la ripresa post-pandemia. Risultati analoghi, ha sottolineato Riela, sono stati raggiunti da uno studio del Congresso americano sugli effetti dei dazi della Section 232 pubblicato nel maggio del 2021. 


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