Significativo calo della produzione industriale metalmeccanica in Italia: nel 2019 ha registrato una flessione media del 3% rispetto al 2018. È il dato che emerge dall'ultima indagine congiunturale di Federmeccanica. In dettaglio, a trascinare in negativo il comparto è stato l'automotive che ha perso circa dieci punti di produzione. Pesanti anche i cali della meccanica strumentale (-2,8%) e dei prodotti in metallo (-4,4%).
Secondo il report, nell'ultimo trimestre del 2019 la produzione è diminuita in volume dell'1,3% rispetto al precedente trimestre e del 4,6% su base annua.
Complessivamente i livelli di produzione italiani risultano inferiori del 27,6% rispetto al periodo pre-recessivo (primo trimestre 2008) e, nel confronto con i principali paesi dell'area UE, l'Italia è in ultima posizione, superata anche dalla Spagna.
«Questa nuova indagine congiunturale - ha commenta Alberto Dal Poz, presidente di Federmeccanica - cade in un momento estremamente critico per l'economia italiana. Alla debolezza congiunturale si è sommata un'emergenza inaspettata, che può avere effetti devastanti» ha detto riferendosi all'epidemia di coronavirus. «Alle conseguenze produttive ed economiche immediate derivanti dal blocco di moltissime attività dirette e indirette per gestire l'emergenza, si aggiunge un grave danno reputazionale per l'Italia e le sue imprese. Alcuni paesi esteri stanno bloccando i flussi di prodotti, cancellano incontri con commerciali o chiedono improbabili certificazioni virus-free solo perché siamo italiani», ha spiegato Dal Poz.
«Per evitare conseguenze irreversibili» secondo il presidente di Federmeccanica «è indispensabile ritornare subito alla normalità. Al momento è difficile quantificare gli effetti negativi che comunque, inevitabilmente, ci saranno nell'intera economia e in particolare per il settore metalmeccanico».
Già prima dello scoppio dell'emergenza coronavirus, ha sottolineato Dal Poz, «le scorte di materie prime e di prodotti finiti risultavano in eccesso rispetto alle esigenze aziendali, il portafoglio ordini evidenziava un peggioramento così come le attese occupazionali a sei mesi prevedevano un ridimensionamento del numero di occupati. Oggi - ha concluso - tutti gli indicatori già preoccupanti rischiano di dover essere rivisti in termini molto peggiorativi».