L’incendio divampato lo scorso 10 maggio all’altoforno 1 dello stabilimento ex-Ilva di Taranto ha segnato una nuova fase critica per l’industria siderurgica italiana. Le fiamme hanno provocato danni strutturali rilevanti, compromettendo in modo grave la funzionalità dell’impianto.
Secondo quanto riportano i media locali, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha dichiarato che un intervento tempestivo, da effettuarsi entro 48 ore dall’incidente, avrebbe potuto evitare il danneggiamento dell’altoforno. Tuttavia, secondo il ministro, l’assenza di autorizzazioni necessarie avrebbe impedito un’azione immediata.
A stretto giro è arrivata la replica della Procura di Taranto, che ha smentito di aver ricevuto richieste formali per autorizzare interventi urgenti sull’impianto, sottolineando di aver sempre agito con rigore e tempestività.
Sul fronte occupazionale, l’impatto è stato immediato: l’azienda ha annunciato l’attivazione di provvedimenti di cassa integrazione per oltre 4.000 dipendenti dello stabilimento.
La situazione solleva interrogativi profondi sul futuro dell’ex-Ilva. Il rischio di un arresto definitivo della produzione si fa sempre più concreto, rendendo indispensabili interventi straordinari sia per la messa in sicurezza che per un eventuale riavvio degli impianti.
La crisi in atto rappresenta un punto di svolta per l’intero comparto siderurgico nazionale, con implicazioni non solo industriali, ma anche economiche, sociali e ambientali. In questo contesto, appare urgente un’azione coordinata tra governo, autorità giudiziarie e potenziali investitori, al fine di garantire la continuità operativa del sito, la tutela occupazionale e il rispetto delle normative ambientali e di sicurezza.