36,5 milioni di tonnellate. A tanto è ammontata la crescita della capacità siderurgica cinese nel 2016 secondo uno studio commissionato da Greenpeace a Custeel e pubblicato ieri 13 febbraio. L'80% di questo incremento riguarda tre province confinanti con la municipalità di Pechino: Shanxi, Hebei e Tientsin.
La Cina produce più di metà dell'acciaio mondiale, ma un rallentamento della propria economia, unitamente al calo della domanda internazionale, ha portato ad un forte eccesso di offerta. Il paese è stato più volte accusato di inondare i mercati stranieri di acciaio sottocosto, deprimendo ulteriormente i prezzi e violando gli accordi sul commercio internazionale.
Pertanto, nel 2016 le autorità cinesi hanno promesso di affrontare il problema della sovraccapacità e di eliminare tra i 100 e i 150 milioni di tonnellate di produzione annuale entro cinque anni. Recentemente, il paese ha annunciato di aver eliminato 85 milioni di tonnellate di capacità siderurgica nel 2016. Ciononostante, Greenpeace afferma che il 73% di questi tagli si riferisce a impianti che già non erano in funzione. Di conseguenza, i tagli "reali" ammonterebbero a soli 23 milioni di tonnellate.
Allo stesso tempo, denuncia Greenpeace, sono rientrati in funzione circa 49 milioni di tonnellate, mentre è stata introdotta nuova capacità produttiva per 12 milioni di tonnellate.
"Per addomesticare l'industria siderurgica e vincere la guerra contro l'inquinamento atmosferico - ha dichiarato Lauri Myllyvirta, rappresentante di Greenpeace - è necessario che la Cina riduca veramente la propria capacità produttiva".
"Ridurre la capacità resta un obiettivo importante" ha risposto Cui Li di CCB International "ma in un'economia in espansione come quella cinese è normale aspettarsi che la chiusura di impianti inefficienti e inquinanti sia accompagnata dall'entrata in funzione di impianti migliori". In difesa della Cina, alcuni analisti ritengono che serva del tempo prima che la Cina sia in grado di operare profondi tagli alla propria capacità produttiva.