Antonio Marceglia: contro crisi e sovraccapacità puntando sulla diversificazione e su prodotti più sofisticati

martedì, 08 aprile 2014 13:04:43 (GMT+3)   |   Brescia
       

SteelOrbis Italia ha avuto il piacere di conversare con il Dott. Marcegaglia riguardo ai risultati e agli investimenti del gruppo, all'andamento del mercato dei tubi saldati e alle difficoltà dell'industria siderurgica europea.

Antonio <a href='marcegaglia'>Marcegaglia</a>Antonio Marcegaglia, classe 1963, si è laureato a pieni voti in economia aziendale nel 1987 all'Università Luigi Bocconi di Milano, conseguendo poi un master di specializzazione negli Stati Uniti. Nel volgere di poco tempo è entrato a tempo pieno nell'azienda di famiglia, il Gruppo Marcegaglia, il cui quartier generale è a Gazoldo degli Ippoliti (Mantova). È Presidente e amministratore delegato del gruppo, leader mondiale nella trasformazione dell’acciaio.

- Qual è il core business di Marcegaglia e quali i principali mercati di riferimento?

Il nostro core business è la trasformazione dell’acciaio. Escludo dal core business le attività legate ai prodotti per l’edilizia, ai prodotti in metallo componibili per uso domestico, la parte turistico-immobiliare e altre attività. Tutto questo pesa per circa l’8% sul nostro fatturato. Quando parlo di trasformazione d’acciaio intendo dire che noi non siamo siderurgici primari, non coliamo l’acciaio. Consideriamo parte del core business tutta la nostra gamma produttiva, che va dai piani ai tubi, all’acciaio inossidabile, alle barre trafilate ecc. Abbiamo un posizionamento strategico piuttosto unico e peculiare e abbiamo in effetti competitor, mercati di riferimento e logiche che sono simili ma anche diverse da una linea di prodotto all’altra. Nel loro insieme però considero core business tutte le linee di prodotto.
Parlando di segmenti industriali, la ricchezza di gamma è il modello portante del business del gruppo. I settori di riferimento più importanti sono le costruzioni, l’automotive, l’elettrodomestico e l’industria del mobile. Ciascuno di questi rappresenta dal 10 al 12-15% del totale. Un’altra metà si articola in tutta una serie di settori frammentati, dalla mechanical engineering ai settori più strani, nonché casalinghi e arredi.

- I prezzi dei tubi saldati continuano ad essere deboli in Italia e i compratori oppongono resistenza ad ogni tentativo di aumento da parte dei fornitori italiani. Quali sono i principali ostacoli alla ripresa del mercato e cosa possono fare i produttori per rafforzare la propria posizione?

Come gruppo siamo in Europa il leader dei tubi saldati, con una produzione pari all'incirca a 1,3 milioni di tonnellate articolate principalmente nei cinque stabilimenti italiani di tubi, ma anche nello stabilimento polacco (che è in crescita) e in quello inglese (stabile e discretamente presente in tutto il Nord Europa). Abbiamo poi una presenza significativa in Brasile e meno significativa in Cina, con le quali raggiungiamo un totale di 1,5 milioni di tonnellate. Circa il 60% (forse più) della produzione italiana viene esportato in Europa e nei mercati limitrofi. Il mercato di riferimento è appunto l'Europa.
Ritengo che la problematica della sovraccapacità produttiva sia tornata ad essere un tema di grande attualità a causa di un mercato statico e anzi in arretramento nell’ordine del 20-22% rispetto alle punte raggiunte nel 2007-2008, e a fronte invece di una dinamica di capacità produttive che per progetti lanciati nel 2007-2008 hanno di fatto portato ad un incremento della capacità. Il tema della sovraccapacità è un tema strutturale e la competizione rimane molto elevata sia nei tubi sia in tutta la filiera siderurgica. Difficile dire cosa fare per risolvere il problema; io credo che un riequilibrio tra domanda e offerta, più che fondarsi sulla ripresa della domanda, debba passare dalla razionalizzazione dell’offerta che si ottiene mediante due meccanismi: quello di un'auto-limitazione produttiva - che non è sempre facile, anche se alcuni operatori hanno oggettivamente contratto le loro produzioni – e quello della selezione mediante consolidamento o sacrificio forzoso da parte di qualcuno. Qualche piccolo produttore nel campo dei tubi di precisione ha effettivamente ridotto o chiuso. Complessivamente però direi che lo sforzo di razionalizzazione non è stato ancora significativo.

- Sempre in materia di tubi, vi sono ostacoli agli scambi o pratiche sleali da parte di paesi terzi nei confronti dei produttori europei?

Ci sono effettivamente importazioni da paesi terzi in aumento, specialmente da Russia, Ucraina e Turchia, mentre anche l'India ha iniziato ad affacciarsi sul mercato. Pur essendo in aumento, devo dire che tali importazioni sono destinate al Nord Europa, che ha prezzi un pochino più alti. Ci sono alcuni casi limite nei quali si potrebbero configurare dazi antidumping, però la competizione maggiore resta tra i produttori europei. Le importazioni sono senz'altro un fenomeno da monitorare e controllare, ma non un fattore stravolgente della competizione. Come produttore non posso dire che le importazioni da paesi terzi siano da ignorare, perché non lo sono. Fino ad oggi tuttavia non abbiamo proceduto con pratiche protezionistiche perché la competizione, benché sicuramente elevata, è soprattutto tra produttori europei.

- Come valuta i risultati conseguiti dall'azienda nel 2013?

Stiamo finalizzando i conti, dunque mi permetto di essere un pochino generico. In termini generali, come azienda realizziamo un fatturato in leggero calo: circa il 3% per effetto dei prezzi, poiché in termini di volumi abbiamo mantenuto le produzioni, anzi abbiamo leggermente incrementato (1%) a fronte di un mercato che si è un po’ contratto. Si è trattato di un anno soddisfacente dal punto di vista dei volumi, ma non siamo soddisfatti dal punto di vista delle marginalità. A livello di equità siamo in linea con l’anno precedente.

- Quanto ha investito Marcegaglia negli ultimi anni, nonostante la crisi?

Abbiamo investito significativamente nel quadriennio 2008-2012, mentre nel 2013 vi sono stati completamenti. A livello complessivo abbiamo investito oltre un miliardo di euro. Circa il 60% è servito al rafforzamento della capacità delle attività italiane (questo non solo nei tubi ma anche nei piani e nell’inossidabile), ma abbiamo investito anche all’estero (Polonia, Cina e Brasile soprattutto). A causa della crisi non abbiamo potuto ancora esprimere appieno le potenzialità aggiuntive che abbiamo realizzato con questi investimenti. Dal punto di vista dei volumi abbiamo fatto leggeri progressi nel 2010, 2011 e 2013. Già nel 2010 avevamo superato il calo fisiologico e violento che aveva riguardato un po’ tutti nel 2009. Nonostante i leggeri progressi nei volumi, non abbiamo potuto sfruttare appieno le capacità, soprattutto nell'ambito dei tubi in Italia. In Polonia c’è stata una dinamica importante, perché siamo passati dalle 30.000 alle 200.000 tonnellate in tre anni. Nell'inossidabile siamo passati dalle 240.000-250.000 di due anni fa ad oltre 300.000 tonnellate di prodotti vari tra tubi e piani. Abbiamo governato questo passaggio con la diversificazione su più fronti, ma non abbiamo ancora sfruttato le nostre potenzialità. Cerchiamo di farlo in una logica di arricchimento della gamma e orientamento verso i prodotti a più alto valore aggiunto, più sofisticati, di qualità, anche allo scopo di sottrarsi alla competizione internazionale.

- Quali sono le principali difficoltà che si trova ad affrontare l'industria siderurgica europea?

Oltre alla sovraccapacità, di cui ho già parlato, una domanda statica. Se la consideriamo come siderurgia primaria e filiera in generale, l’Europa ha poi alcuni fattori strutturali di debolezza: oltre alla domanda non dinamica che c’è in altre aree del mondo, il primo tema è quello delle materie prime. L’Europa ha poca disponibilità di materie prime, minerale di ferro e carbone (quest’ultimo presente solo in parte in Nord Europa).  Nella media la siderurgia europea è meno integrata di altre siderurgie e questo costituisce un fattore di debolezza sui costi. Altri fattori critici sono il costo del lavoro e dell’energia, che sono ovviamente più alti in Europa. Infine, un elemento preoccupante è quello dei costi ambientali. A tale riguardo, trovo che la politica ambientale europea sia piuttosto irrealistica se non accompagnata dagli stessi sforzi di altre parti del mondo. Rischiamo infatti di essere in Europa dei paladini dell’ambiente contando sempre meno nel panorama mondiale. Questo resta un fattore abbastanza preoccupante nel medio termine.

Noi europei rappresentiamo a livello industriale totale circa il 10% delle emissioni e questa percentuale è destinata a calare. A fronte dello sviluppo di altre parti del mondo e le contrazioni o il non progresso dell’industria europea, rischiamo di dimezzare la nostra quota; rischiamo quindi di essere meno significativi e di cercare da questa piccola quota di essere i più responsabili per le emissioni. È un po’ un controsenso. L’industria in generale (non solo siderurgica) rischia di essere fortemente penalizzata. Io trovo poco realistica e velleitaria la politica ambientale che è stata annunciata. Con essa rischiamo di accelerare una deindustrializzazione che è già in corso.

- Qual è la sua opinione riguardo alla tendenza sempre più forte ad una chiusura dei mercati, ossia alla protezione dei produttori siderurgici nazionali (ad esempio in India e Brasile)?

È curioso che India, Brasile e per certi versi la Russia abbiano da un lato le risorse primarie (minerale) e i fattori produttivi (energia) più competitivi, dall'altro siano quelli che hanno prezzi interni frutto proprio di questa protezione. Credo sia una politica destinata ad allentarsi. Il mondo va verso un maggior libero scambio. Fino a che questi mercati hanno la forza di un mercato interno sufficientemente importante, hanno questo doppio beneficio: risorse basse, prezzi alti. Certamente si dovranno aprire maggiormente, perché pagano questa politica sia in termini inflazionistici sia in termini di svalutazione della propria moneta. 


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